Beirut. Viaggio nel «cuore malato» del Libano che neanche i libanesi riconoscono più

Da Avvenire – Camille Eid martedì 27 giugno 2023

Reportage / Dal default finanziario alle ripercussioni sella pandemia Covid, dall’esplosione al porto di Beirut all’immobilismo istituzionale: un mix micidiale che ha sfigurato il volto del Paese

È un Paese irriconoscibile quello che io, libanese, ritrovo a distanza di tre anni. O forse un Paese in cui sono io a non riconoscermi più. Una situazione al limite del sostenibile per la maggior parte dei libanesi per via delle sciagure che si sono abbattute, in una nefasta sequela, sul Paese dei cedri. Dal default finanziario alle pesanti ripercussioni della pandemia Covid, all’esplosione al porto di Beirut. Il tutto con un sottofondo di stallo istituzionale che attanaglia tuttora la vita politica. Tante istantanee quante testimonianze in diretta. Quartieri simbolo oggi a me quasi sconosciuti.

Furn el-Chebbak

Nella periferia est di Beirut, al collegio cattolico si aprono le iscrizioni per il prossimo anno e per molte famiglie si annunciano nuovi rincari legati alla continua svalutazione della moneta nazionale. Il collegio in questione esige il pagamento dell’80 per cento delle rette in dollari. La percentuale varia da una scuola all’altra, ma tutte ricorrono a questo provvedimento. Al vicino Lycée français si parte da un minimo di 1.700 dollari più l’equivalente di 400 dollari in lire libanesi. Solo a Nabatieh, nel Sud, un giudice ha intimato alla Scuola evangelica nazionale di bloccare subito una simile decisione, ma gli istituti minacciano la chiusura. Così investire nell’istruzione dei figli, una volta il vanto dei libanesi, non è più alla portata di tutti i cittadini. Come se non bastasse, molti istituti hanno ridotto la frequenza da 5 a 4 giorni per diminuire il rimborso del trasporto previsto per gli insegnanti. Con buona pace del programma previsto.

Jall el-Dib

A nord di Beirut le banche della ex “Svizzera del Medio Oriente” sono ora presidiate da guardie in borghese. Gli assalti dei correntisti in collera per le restrizioni imposte ai loro conti sono all’ordine del giorno.

Ma c’è anche chi ricorre alle buone maniere. Il professor Elie Dagher è stato per anni un alto dirigente dell’Università libanese. Il mese scorso, chiede alla sua banca di poter prelevare l’importo indicato per l’operazione chirurgica del fratello, allegando tutti i referti medici. La risposta non tarda ad arrivare. « La direzione ha approvato il prelievo di 20mila dollari», dice l’impiegata al telefono. « Perfetto! Quando posso passare?». « Forse non mi sono spiegata – ribatte l’impiegata –. Quella è la cifra che sarà detratta dal suo conto, ma lei riceverà materialmente 3.200 dollari». «Ve li potete tenere; non apporrò mai la mia firma a un tale furto!», la risposta di Dagher.

Teatro Monot

Nel centro di Beirut, Rita Ayoub, che pochi giorni prima ha discusso una tesi di dottorato all’Istituto di studi islamocristiani dell’Università gesuita, esce entusiasta dalla rappresentazione di “È ora di parlare” di Philippe Aractingi, un regista franco-libanese che fa la spola tra i due Paesi. « È un inno di attrazione verso il Libano », dice Rita. «Verso un Libano al quale uno fa ritorno ogni volta che si sente smarrito all’estero». Poi aggiunge. « È un invito a ognuno di noi ad aprire i cassetti della propria vita. Magari riusciamo così insieme a ritrarre l’immagine di un Paese che ci assomigli nuovamente. Per poterlo recuperare e non aver più davanti agli occhi una terra priva di vita».

Chekka, nel nord del Libano

I prezzi esposti al supermercato sono ormai tutti in valuta americana, allargando la forbice sociale tra chi può permettersi di acquistare le merci e chi – 4 libanesi su 5 – vede polverizzare il proprio potere d’acquisto. L’80 per cento delle famiglie fatica a far quadrare i conti. Gli stipendi dei funzionari pubblici, ad esempio, sono stati moltiplicati per 7 negli ultimi quattro anni, ma il dollaro si è intanto moltiplicato per 60. Una recente ricerca calcola che una famiglia di 4 persone ha bisogno di almeno 450 dollari per vivere. Nel conteggio non figurano ovviamente eventuali cure mediche o riparazioni meccaniche. Per molti libanesi, si impone il doppio lavoro. Come per Ramez, che oltre a insegnare letteratura, lavora di notte come barman. Per altri, diventa indispensabile l’aiuto dei famigliari residenti all’estero. Come per Majed, incontrato sul taxi collettivo, che spende la metà del suo salario per pagare il trasporto dalla caserma in cui presta servizio al suo paesino dell’Akkar, nell’estremo nord del Paese. « Per fortuna – dice – coltivo un piccolo orto e ricevo un aiuto da un fratello che lavora in Germania». Secondo la Banca mondiale, gli espatriati libanesi hanno inviato nel 2022 rimesse per 6,4 miliardi dollari, pari al 35,7 per cento del Pil nazionale.

Balloune, area di Kesruan

Vita dura anche per i liberi professionisti. Maroun esportava automobili usate dall’Europa. L’ennesimo rialzo ufficiale del “dollaro doganale”, il quarto in sei mesi, ha mandato in tilt la sua attività. «Sarà dura trovare nuovi acquirenti – dice –, con le tasse che pesano ora del 45 per cento sul totale ». Come lui, centinaia di rivenditori in un Paese che ha esportato l’anno scorso 67mila auto. Non va meglio per i pensionati. Viviane ha ritirato l’anno scorso la sua liquidazione dopo 36 anni di servizio in un ministero: 135milioni di lire che, al cambio ante crisi, avrebbero dovuto garantire 90.000 dollari per la sua vecchiaia. Invece, al cambio in vigore si è ritrovata con soli seimila. « Li ho già spesi tutti», dice sconsolata.

Beit-Eddine, (Chouf) Al Palazzo settecentesco che fu residenza degli emiri libanesi, i gruppetti di turisti danno l’impressione di una promettente stagione estiva. La forte svalutazione della lira libanese ha incentivato il turismo nel Paese. Faccio per annotare su un taccuino le varie fasce del prezzo d’ingresso. « Inutile – mi dice il bigliettaio –. Stiamo aspettando la lista aggiornata del ministero». L’indomani, la stampa riportava le nuove tariffe d’ingresso in tutti i siti turistici libanesi: quintuplicati. Nel vicino ufficio della Pubblica sicurezza non c’è la stessa calca che a Beirut spinge molti a mettersi in coda alle tre di notte. Sempre a corto di nuove risorse, le autorità hanno da poco alzato la tariffa per il rilascio urgente del passaporto biometrico da 52 a 67 dollari. «Sempre meno dei 528 euro richiesti al consolato libanese», ammette Akram, uno studente di medicina in una università in Italia. Con la differenza si è pagato il viaggio in Libano, caricando la valigia di tutti i medicinali raccolti dai connazionali per i loro parenti.

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